BOLLETTINO 54 Articolo del prof.Massimo RussoSEZIONE SCIENTIFICA E CULTURALE Massimo Russo LE SPECIE MINERALOGICHE TROVATE PER LA PRIMA VOLTA AL MONDO NEI CAMPI FLEGREI: VERE E PERDUTE Questo articolo è un estratto della conferenza “I Minerali dei Campi Flegrei” tenuta dal sottoscritto il 19 ottobre 2017 presso L’Oasi Naturalistica di Monte Nuovo organizzata dalla Professoressa Sofia Sica dell’Associazione Nazionale Insegnanti di Scienze Naturali.
Lo studio dei minerali dei Campi Flegrei ha mostrato negli studiosi del passato scarso interesse se paragonato con quelli del Somma-Vesuvio. Gli Autori principali sono stati Arcangelo Scacchi dopo la metà dell’800, Zambonini agli inizi del ‘900 e Antonio Parascandola fino alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso. Poi solo sporadici lavori. Dal 1980 ad oggi lo studio dei minerali flegrei è stato condotto dai soci del Gruppo Mineralogico Geologico Napoletano e dal 2006 dalla collaborazione tra l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, sezione di Napoli, l’Osservatorio Vesuviano e il Dipartimento di Chimica dell’Università di Milano. Attualmente per i Campi Flegrei sono note meno di 150 specie e tra queste 6 sono località tipo (TL), cioè trovate per la prima volta al mondo in quest’area: dimorphite, marialite, misenite, nahcolite, russoite e voltaite, due screditate: calciobetafite e nocerite ed un’altra, l’alum-(K), che dall’attenta lettura dei dati bibliografici sembra non abbia come località tipo la Solfatara di Pozzuoli. Gli autori, come detto in precedenza, che più hanno contribuito allo studio di quest’area sono stati Arcangelo Scacchi (1810 – 1893) e Antonio Parascandola (1902 – 1977). Il primo per quanto riguarda più in generale i Campi Flegrei, mentre Parascandola per quanto riguarda i minerali della “Breccia Museo” e per la Solfatara di Pozzuoli – Pisciarelli di Agnano. L’area dei Campi Flegrei situata a Nord della città di Napoli è caratterizzata da un vulcanismo che si è esplicato negli ultimi 80.000 anni con potenti eruzioni altamente esplosive, a eruzioni a media e bassa esplosività; rare le cupole laviche e praticamente assenti le colate di lava. Tutta l’area è costellata da vulcani praticamente monogenici, tanto da definirla un campo vulcanico. In passato, in questa area si sono avute due spaventose eruzioni vulcaniche: quella dell’Ignimbrite Campana [39.000 anni fa (Deino et al., 1994)] che diede origine al Tufo Grigio Campano e quella del Tufo Giallo Napoletano [15.000 anni fa (Orsi et al., 1996)]. Queste tremende eruzioni esplosive hanno contribuito alla creazione di due caldere una all’interno dell’altra. All’interno di questa seconda caldera si sviluppò un vulcanismo recente che si è chiuso con l’eruzione di Monte Nuovo nel 1538 (vedi anche Vitale e Isaia, 2014 e riferimenti bibliografici). L’attività vulcanica è tutt’ora persistente, ma in fase di quiescenza come dimostrato dall’attività fumarolica, dalle acque termali, dalla debole sismicità e da sporadiche fasi di bradisismo: ricordiamo solo le più eclatanti avvenute nel periodo 1968-1972 e 1982-1984.
Località principali dei minerali dell’Ignimbrite Campana Per quanto riguarda i minerali dei Campi Flegrei possiamo considerare quelli relativi all’eruzione fortemente esplosiva dell’Ignimbrite Campana (IC) e quelli successivi a tale evento. Tra i prodotti dell’IC spiccano il Piperno di Pianura (Fig. 1, a) e di Soccavo, si tratta di una roccia costituita da materiale piroclastico con scorie nere schiacciate, molto utilizzato a Napoli per le antiche costruzioni di lustro (esempio il porticato della facoltà di geologia dell’Università Federico II). In questo materiale è stato rinvenuto un minerale che per lunghi anni è stato problematico, la cosiddetta breislakite scoperta per la prima volta al mondo da Scipione Breislak (1750 – 1826) nel 1801. Tale specie fu successivamente confusa con il ferro, la bissolite, il “pirosseno”, l’orneblenda, l’iperstene, la fayalite e l’ilvaite. Solo nel 1969 Marcella Federico del Dipartimento Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza individuando nella composizione chimica il boro, risolse il problema indicandola uguale alla vonsenite, fig.2 (1) - Fe2+2Fe3+O2(BO3). Si presenta in aghetti grigio-nerastri. Quindi un minerale non più TL. Sempre nel piperno fu individuata per la prima volta al mondo la marialite, fig. 2 (2) – Na4Al3Si9O24Cl – descritta compiutamente da Gerhard vom Rath (1830 – 1888) nel 1866 a cui diede il nome della moglie Maria Rosa. Si tratta di cristallini prismatici fortemente striati lungo l’asse principale di allungamento, di colore dal verdino all’incolore. Altro prodotto relativo all’IC è una breccia d’esplosione denominata “Breccia Museo” per la grande varietà di litotipi diversi. Questa breccia è presente soprattutto nella zona di Monte di Procida (Fig. 1,d) – Torregaveta e all’Isola di Procida. I minerali sono molto simili a quelli che si sono rinvenuti al Monte Somma: come analcime, magnetite, marialite, titanite, zircone, zirconolite. Mentre unici per la Campania, al momento sono la clinozoisite, la liottite e la mordenite (Russo, 1986, 2010, 2012). In questa breccia in località Torre Fumo, Monte di Procida, fu rinvenuta per la prima volta al mondo la calciobetafite (Mazzi e Munno, 1983) – (Ca,Na)2(Nb,Ti)2(O,OH)7 – minerale del gruppo del pirocloro, fig. 2 (3), che si presenta raramente in cristallini ottaedrici trasparenti di colore rosso più o meno carico. Questo minerale è stato Località Tipo fino al 2010 quando è stata reinterpretata la serie dei piroclori (Atencio et al., 2010). Alla luce della nuova classificazione, la calciobetafite sarebbe un pirocloro ricco in uranio con titanio dominante.
Possiamo annoverare tra i prodotti dei Campi Flegrei, anche se sembrerebbe strano a dirlo vista la distanza areale dal centro di emissione, i noduli carbonatici metamorfosati, trovati frammisti al Tufo Grigio Napoletano in cui si sono formati minerali particolari. Questi “noduli” erano in passato relativamente frequenti in località Fiano di Nocera inferiore (località più studiate) e quelle del casertano. L’esplosione dell’IC ha coperto con i suoi prodotti l’intera Regione e nel suo viaggio raggiunse i contrafforti dell’Appennino campano strappando e avviluppando blocchi carbonatici. La ignimbrite che viaggiava ad alta velocità, era calda e soprattutto ricca in acido fluoridrico, la conseguenza fu la formazione di numerosi minerali interessanti quali la nocerite, la fluorite ed altri studiati essenzialmente da Arcangelo Scacchi (1888) e Zambonini (1919). Uno dei minerali più rappresentativo di questi prodotti è senza ombra di dubbio la nocerite, trovata qui per la prima volta al mondo è così denominata da Scacchi (1881) ad indicare la zona di ritrovamento; nel 1938 Antonio Scherillo (1907 – 2008) nel determinare la struttura cristallina dimostrò che si trattava di fluoborite. Purtroppo con i mezzi dell’epoca sia Scacchi sia Zambonini non avevano nelle loro analisi evidenziato la presenza del boro (Scacchi nemmeno il fluoro). La fluoborite, fig. 2 (4) - Mg3(BO3)F3 – si presenta in microcristalli prismatici molto allungati incolori e trasparenti o biancastri entro le cavità dei carbonati metamorfosati.
Località principali dei minerali post Ignimbrite Campana Un’altra fonte di fasi mineralogiche è la ricerca nelle aree fumaroliche che nei Campi Flegrei continentali abbondano, le più interessanti sono: la Solfatara di Pozzuoli, la Grotta dello Zolfo di Bacoli e le Stufe di Nerone (Tritoli) a Lucrino. La Solfatara di Pozzuoli (Fig. 1,e) è un vulcano d’esplosione, con forma leggermente ellittica (770 x 580 m), situata nella parte centrale della caldera flegrea, formatosi 4280 anni fa. I depositi della Solfatara consistono in prodotti piroclastici con una distribuzione areale inferiore ad 1 km2 e con uno spessore massimo di circa 15 metri nei pressi del cratere (Rosi e Sbrana, 1987). Secondo recenti ricerche la Solfatara rappresenterebbe un unicum nei Campi Flegrei essendo considerato un maar-diatreme (Isaia et al., 2015). Alla Solfatara di Pozzuoli i gas di tipo idrotermale sublimano minerali sulle fumarole di più alta temperatura (145°-164°C), come clorammonio, realgar e dimorfina russoite, quest’ultimi due scoperti per la prima volta al mondo da Arcangelo Scacchi nel 1849 e da Campostrini et al., nel 2016. Mentre a temperature di più o meno 100°C dove è abbondante lo zolfo, l’acido solforico che si forma dall’idrogeno solforato, attacca la roccia lasciando un residuo insolubile, essenzialmente di opale, e la formazione di incrostazioni cristalline di solfati idrati, alcuni di questi scoperti per la prima volta al mondo alla Solfatara come l’allume potassico [ora definito alum-(K)] e la voltaite. Recentemente è stata pubblicata una monografia in cui sono riportati gli studi di oltre trenta anni di ricerche effettuate sui minerali della Solfatara di Pozzuoli e delle aree fumaroliche (Russo et al., 2017). La dimorfina (dimorphite), fig. 2 (5) – As4S3 – è stata nuovamente rinvenuta solo recentemente, dopo oltre 160 anni dalla sua scoperta nella fumarola denominata Bocca Grande (Russo et al., 2017). Questa specie, infatti, è stata rinvenuta per la prima volta al mondo da Scacchi (1849) e denominata dimorfina perché si presentava in due cristallizzazioni differenti. I cristalli sono di colore giallo arancio molto splendenti non più grandi del millimetro che accompagnano e/o ricoprono il realgar.
Un’altra specie è la russoite, fig. 2 (6) – (NH4)ClAs2O3(H2O)0.5 – che è stata scoperta solo recentemente: 2015, sporadicamente alla Bocca Grande; si presenta in piccolissimi cristalli trasparenti a contorno esagonale di colore giallino o incolori. Si rinviene associato a clorammonio, mascagnite e realgar (Campostrini et al. 2016). La specie è stata dedicata all’autore del presente lavoro. Tra le incrostazioni, invece ritroviamo l’allume potassico e la voltaite. Strana la storia dell’allume potassico [ora alum-(K)] – KAl(SO4)2·12H2O,fig. 2 (8) – che sarebbe stato trovato per la prima volta al mondo alla Solfatara di Pozzuoli, ma la questione sembra piuttosto intricata come discusso in Campostrini et al. (2011). Sebbene sia noto fin dall’antichità, la questione su quale sia la località-tipo di questo minerale è tutt’ora oggetto di discussione. Secondo alcuni autori sarebbe il complesso Somma-Vesuvio, in cui la presenza dell’allume sarebbe citata, seppure in maniera esplicita, da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia; per altri (Ciriotti et al., 2009) la località-tipo sarebbe la Solfatara di Pozzuoli (NA) di cui Agricola nel De re metallica dà una dettagliata descrizione dei metodi di estrazione e preparazione del minerale. Tuttavia, anche Dioscoride e Diodoro Siculo citano esplicitamente l’allume di Lipari nelle loro opere, tanto che quest’ultimo (che precede gli altri di circa un secolo) afferma che … i Romani ricavavano un grosso tributo da questo sale, e nello stesso tempo i Liparoti ne ricavavano gran profitto. L’allume di Lipari in realtà era estratto all’isola di Vulcano. Questo minerale si rinviene comunemente in efflorescenze biancastre, in microcristalli o piccoli aggregati coralloidi. Una specie non molto frequente alla Solfatara è la voltaite, fig. 2 (7) – K2Fe2+5Fe3+3Al(SO4)12·18H2O – che si rinviene in piccoli cristalli nerastri, cubici, ottaedrici o cubo-ottaedrici, associato ad halotrichite e metavoltina. La voltaite fu scoperta originariamente alla Solfatara da Breislak (1792), ma descritta per la prima volta al mondo da Scacchi (1841). Il minerale fu dedicato ad Alessandro Volta (1745-1827), fisico italiano, noto per i suoi esperimenti sull’elettricità. Tra i vulcani di Bacoli e Miseno esiste una località di interesse naturalistico, ai più poco conosciuta, denominata Grotta dello Zolfo (Fig. 1,c). La grotta è una cavità naturale, con area di circa 200 m2 ed un’altezza che raggiunge i 15 m. raggiungibile via mare. Sotto il nome di misenite, fig. 2 (9) – K8(SO4)(SO3OH)6 – Scacchi (1849) descrisse un nuovo minerale da lui rinvenuto nel 1840 alla Grotta dello Zolfo. Il minerale si presentava in forma di croste spesse circa mezzo centimetro, formate da sottilissime fibre poco aderenti tra loro, di colore bianco sporco con debole splendore setaceo. In seguito Scacchi stesso non riuscì più a ritrovarlo, come, del resto, accadde nel 1907 a Zambonini, che, per studiarlo, dovette ricorrere all’unico saggio allora esistente nel Museo di Mineralogia di Napoli. Un campione etichettato misenite (?) è presente nelle vetrine della collezione mineralogica del Natural History Museum of London. Le Stufe di Nerone (Fig. 1,b), note fin dal I sec a.C., al tempo dei Romani, erano chiamate Terme Silviane, perché dedicate a rea Silvia, dea della fecondità, ed erano molto rinomate nell’area di Baia. Johnston-Lavis nel 1889 raccolse delle incrostazioni saline di colore biancastro, sulle pareti di un vecchio condotto romano delle acque termali delle Stufe di Nerone. Egli denominò il campione thermokalite. Bannister (1929) scoprì che si trattava in realtà di un miscuglio di trona, termonatrite e bicarbonato sodico; proprio per quest’ultimo egli propose il nome di nahcolite – NaHCO3 – come acronimo della formula chimica. Si trattava del primo ritrovamento al mondo. Noi nelle nostre ricerche non siamo riusciti a ritrovarla. Lo studio dei minerali dei Campi Flegrei è in continua evoluzione e non è escluso che possa dare nel tempo ancora molte sorprese. La ricerca continua …
Referenze
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