* Docenti del corso E dell’IC3 “Rodari – Annecchino” di Pozzuoli – plesso “Annecchino”.
In uno degli incontri tenuti dagli insegnanti del nostro corso a settembre, abbiamo cercato un argomento insolito, in genere poco conosciuto o completamente ignoto ai più, che potesse attirare l’interesse dei nostri alunni (ragazzi della prima e della seconda classe della scuola secondaria di I grado) e dovesse essere trattato da più punti di vista coinvolgendo i docenti di Matematica, Scienze, Storia, Geografia, Arte, Tecnologia e Religione. La nostra scelta è caduta su di un tema molto interessante: “La scoperta perduta” ovvero la scoperta del continente americano fatta dai vichinghi intorno all’anno 990 (oltre 500 anni prima della scoperta di Cristoforo Colombo).
Essendo tutti insegnanti dello stesso corso, riflettendo sui nostri alunni, abbiamo deciso di trattare in II media alcuni argomenti che si riferivano al tema concordato, mentre altri sia con gli alunni di I che con quelli di II (Vedi Allegato 1).
Sicuramente il discorso sulla cartografia antica, quella medievale e quella moderna, insieme a quello delle rappresentazioni in scala deve essere necessariamente trattato in seconda media. Il docente di matematica e quello di tecnologia avrebbero trattato dei rapporti di scala. Il docente di Matematica e la docente di Geografia avrebbero parlato delle carte geografiche moderne e delle loro caratteristiche salienti. La docente di Arte e quella di Religione avrebbero fatto analizzare le carte geografiche usate nel medioevo centrale spiegandone il carattere “poco scientifico” ma esaltandone la concezione “teologica” della Terra nel creato.
Agli alunni di I media si è pensato di far leggere dei brani tradotti dalle “Saghe groenlandesi” e di fornire dei dati scientifici sulla scoperta, ma mancata colonizzazione dell’America da parte dei “Norsemen” (comunemente chiamati Vichinghi). Sarebbe stato molto educativo sottolineare come dei mutamenti climatici globali (la Little Ice Age all’inizio del XIV secolo) portarono all’abbandono dei traffici con la Groenlandia. Il non corretto uso delle conoscenze geografiche del passato portò a non riconoscere una grandissima scoperta geografica che, col tempo, fu dimenticata.
La conoscenza di nuovi territori è dipesa, storicamente, da due tipi di informazioni: le narrazioni dei viaggiatori e, a partire dal III secolo a.C., la geografia scientifica, ovvero lo studio, a tavolino, della Terra, delle sue dimensioni, delle zone abitate e abitabili, del rapporto tra acque e terre emerse. Nel mondo antico il problema essenziale della disciplina che va definendosi come geografia è quello di rappresentare i confini delle terre e la loro posizione rispetto ai mari: la necessità di visualizzare la Terra va di pari passo con opere letterarie che descrivono luoghi e popoli.
Le informazioni che vengono acquisite grazie ai movimenti di colonizzazione che avvengono attorno alle sponde del Mediterraneo orientale e occidentale giungono a conoscenza dei filosofi naturalisti della scuola di Mileto. Tra questi, occupa un posto di rilievo Anassimandro di Mileto (610 – 545 a.C.), che per quanto ne sappiamo, fu il primo a concepire l’idea che sotto i nostri piedi al di là della terra, potesse esistere un altro cielo. Egli credeva che la Terra fosse a forma di cilindro e sospesa nello spazio, con due superfici, quella abitata da noi e l’altra opposta, dove le nozioni di “alto” e “basso” sono invertite. Il cilindro, cioè la Terra, sarebbe rimasta stabile.
Anassimandro tracciò il profilo della prima carta geografica della nostra storia, volta a rappresentare tutto il mondo allora conosciuto. Si trattava di un disco circolare piatto, circondato dall’Oceano: Europa, Africa e Asia i tre continenti che compongono il mondo abitato (fig. 1). La Terra, di forma cilindrica, secondo Anassimandro occupa il centro dell’Universo senza bisogno di alcun sostegno: nella sua posizione essa costituisce il baricentro dell’intero sistema, equidistante dai limiti estremi della sfera dell’universo (fig. 2).
Parmenide (513 – 440 a.C.) fu il primo a pensare per la Terra la medesima divisione della sfera celeste: equatore, tropici, circoli polari. Secondo lui la Terra era caratterizzata dalla presenza di cinque zone, di cui era possibile determinare precise caratteristiche climatiche che rendevano più o meno favorevole il viverci a seconda della distanza dall’equatore.
Secondo Aristotele (384 – 322 a.C.) la Terra era sferica ed era possibile suddividerla in zone per mezzo di cerchi che altro non erano che la proiezione dei circoli celesti. Il mondo abitato si estendeva solo nella zona temperata ed era limitato dalla presenza dell’Oceano.
Alessandro Magno (356 – 323 a.C.), allievo di Aristotele, voleva andare a vedere cosa c’era a Oriente e, forse anche per questo, decise di avanzare il più possibile verso est.
Mentre Alessandro avanzava verso est, un navigatore di Marsiglia di nome Pitea (380 – 310 a.C.) verso il 330 a.C., intraprese un viaggio in direzione nord ovest, via mare. Nel suo viaggio verso l’estremo nord, apprese della esistenza di una misteriosa isola che chiamò Tule (probabilmente l’Islanda) dove il sole non tramontava mai il giorno del solstizio d’estate.
Nel III secolo a.C. Eratosten (276 – 194 a.C.) fu il primo autore di un’opera letteraria dal titolo “Geografia”. Egli è il solo geografo del mondo antico, e lo resterà ancora per molto tempo, ad avere eseguito la misura della circonferenza terrestre con un metodo rigorosamente scientifico (fif. 3).
Claudio Tolomeo (100 – 168 d. C.) nella sua opera “Avviamento alla geografia”, stabilì la distinzione tra descrizione delle terre e loro rappresentazione. Secondo lui la stesura di carte poteva sussistere laddove la loro realizzazione obbedisse a rigorosi fondamenti geometrici che presiedono alla loro realizzazione. Tolomeo criticava il modo di rappresentare la Terra adottato da Eratostene: egli aveva scelto, infatti, la rappresentazione ortogonale, nella quale i meridiani risultano rette parallele tra loro e perpendicolari ai paralleli, allineando questi ultimi sul parallelo di Rodi (36° N), che è lungo 4/5 dell’equatore. Pertanto, per rappresentare il globo terrestre su una carta, ovvero su un piano, Tolomeo suggeriva tre tipi di proiezioni coniche:
1. la proiezione conica semplice nella quale, a partire da un polo fittizio, i paralleli diventano archi di cerchio e i meridiani rette che s’incontrano in questo polo;
2. la proiezione conica arrotondata, che piega in linea curva i meridiani attorno al meridiano centrale;
3. per le carte regionali Tolomeo raccomandava ovviamente di ricorrere alla proiezione ortogonale, che ben si adatta a rappresentare piccoli spazi.
Le indicazioni fornite da Tolomeo dovevano consentire a chiunque di rappresentare le terre abitate (fig. 4).
La traduzione latina della geografia di Tolomeo giunse in occidente solo nel XV secolo. Fu eseguita a Firenze tra 1408 e 1410 ed ebbe un enorme successo.
In realtà con l’Alto Medioevo cominciò un’epoca di decadenza. Scomparve lo stesso termine “geografia” e si dimenticarono per lungo tempo le opere ad essa dedicate dagli antichi. I problemi legati alla geografia passarono in mano ai padri e dottori della Chiesa. Essi avevano posto a fondamento di ogni conoscenza l’autorità della Sacra Scrittura, le cui affermazioni erano da accettare come verità assoluta. Studiando e commentando la Bibbia e, soprattutto il libro della Genesi, tornò a farsi strada in alcuni ambienti di chiesa un’immagine della Terra non più sferica ma piatta e galleggiante sulle acque. Si negò la sfericità della Terra, l’esistenza degli antipodi e divenne di patrimonio comune l’inabitabilità della zona torrida. La cartografia scientifica di età ellenistica scomparve, a beneficio di rappresentazioni perlopiù incomprensibili.
La questione traeva ulteriore alimento dal fatto che Lattanzio (250 – 317 circa) nelle Institutiones divinae, aveva parlato di un Universo la cui forma era conseguente alla descrizione biblica del Tabernacolo, cioè quadrangolare. Sicuramente la forma del tabernacolo su base piatta permetteva di risolvere l’imbarazzante problema dell’esistenza di alcuni esseri umani agli antipodi, supposti essere con la testa in giù. Nel VI secolo d.C. nella Topographia Christiana la Terra era rappresentata come un’isola piana di forma rettangolare, circondata dall’Oceano e chiusa da colonne di pietra che salivano fino al cielo (fig. 5).
Comunque nell’Alto Medioevo cominciarono a comparire enciclopedie che parlavano della forma sferica della Terra, dandone la circonferenza.
Si diffuse, conseguenza diretta del cristianesimo, l’immagine della terra a “T” inscritta dentro un cerchio a forma di “O”. La mappa a “T” mostrava un cerchio diviso in tre parti corrispondenti all’Asia, Africa (segnata spesso come Lybia) e Europa, il tutto circondato dall’Oceano visto come un grande fiume circolare che chiudeva le terre note. La prima raffigurazione di questo genere comparve nel De natura rerum di Isidoro di Siviglia.
Intorno all’anno 1000, alcuni navigatori scandinavi raggiunsero il suolo del continente americano. Anche Leifr Eiríksson (fig. 6) perciò fu uno scopritore dell’America, ma la sua scoperta fu piuttosto prematura e per qualche ragione non condusse ad evidenti ripercussioni in Europa. La scoperta di Colombo invece fu molto più in linea con i tempi.
Le imprese di questi navigatori nordici (Norsemen) sono narrate nella Grœnlendinga saga o Saga dei Groenlandesi. Si tratta di un racconto islandese che insieme alla Eiríks saga rauða o Saga di Erik il Rosso (il nome Eiriks si trova nelle fonti anche scritto Erik) è una delle due principali fonti letterarie che narrano la colonizzazione della Groenlandia raggiunta da Erik il Rosso e dai suoi seguaci. Descrive poi alcune spedizioni verso occidente condotte dai figli di Erik e da Thorfinn Karlsefni. La saga è conservata nel manoscritto Flateyjarbók del tardo XIV secolo, noto anche come Codex Flatöiensis, il più esteso manoscritto medioevale islandese. Si pensa che la sua stesura sia stata per la prima volta commissionata nel XIII secolo mentre gli eventi riportati risalirebbero ad un periodo tra il 970 e il 1030. Nonostante alcune parti della saga narrino avvenimenti stravaganti, si ritiene comunque che contenga un minimo di verità storica.
Diversi documenti storici attestano l’espansione dei norsemen verso occidente. Per esempio il papa Pasquale II (1050–1118) nominò il primo vescovo della Groenlandia e delle regioni più occidentali; nella bolla di nomina del primo vescovo, Erik Gnupsson, si legge infatti “Groenlandiæ, regionumque finitimarum”. Poi a causa della Little Ice Age a partire dall’inizio del XIV secolo, ci fu un abbassamento di temperatura nell’emisfero boreale, la Groenlandia fu abbandonata e così anche gli insediamenti norsemen del Nord America che da lì provenivano, anche se alcuni documenti attestano contatti in epoca successiva. Quel che è certo è che a Anse aux Meadows, nella parte più settentrionale dell’isola di Newfoundland (Terranova) in Canada, c’era una presenza norsemen (fig. 7).
Anse aux Meadows (una corruzione del francese L’Anse-aux-Méduses, ovverosia La baia delle meduse) è un sito archeologico in cui nel 1960 l’esploratore norvegese Helge Ingstad e la moglie, l’archeologa Anne Stine Ingstad scoprirono i resti di un antico villaggio norse. Si tratta dell’unico accreditato villaggio norsemen del Nordamerica al di fuori della Groenlandia; qui è stata condotta una ricerca archeologica durata molti anni che ha portato alla luce abitazioni, oggetti e utensili compatibili con la civiltà norse. Risale ad oltre cinque secoli prima dei viaggi di Cristoforo Colombo e in esso si trovano le più antiche costruzioni europee delle Americhe. Inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO, è da molti ritenuto essere il leggendario Vinland, l’insediamento dell’esploratore Leifr Eiríkson intorno all’anno 1000. Benché non sia possibile stabilire con certezza se L’Anse aux Meadows sia veramente il Vinland della saga, è certo che un gruppo di colonizzatori norsemen visse qui tra la fine del X e gli inizi dell’XI secolo, anche se il sito venne utilizzato per soli due o tre anni. Si crede, in base ad evidenze sia archeologiche che letterarie, che l’abbandono sia stato causato dalle pessime relazioni con i nativi americani, indicati dai norsemen come skrælingar (plurale di skræling). Questo è il nome con cui i groenlandesi norse del medioevo chiamavano i Dorset e la popolazione Thule in Groenlandia.
Quando poi i norsemen entrarono in contatto con gli abitanti del Nord America (probabilmente gli antenati dei Beothuk), si riferirono ad essi con lo stesso nome. Secondo La Saga di Erik il Rosso e la Saga dei Groenlandesi i norsemen cominciarono ad esplorare le terre ad ovest della Groenlandia appena qualche anno dopo il loro insediamento in quella terra. Nel 985 mentre navigavano dall’Islanda alla Groenlandia con una flotta di 400–700 coloni e altre 25 navi, delle quali 14 completarono il viaggio, un mercante di nome Bjarni Herjólfsson fu portato fuori rotta e dopo tre giorni di navigazione vide della terra a ovest della flotta. Bjarni era solamente interessato a trovare la fattoria di suo padre, ma descrisse la sua scoperta a Leifr Eiríksson che esplorò l’area con maggior dettaglio e installò un piccolo insediamento quindici anni più tardi.
Le saghe descrivono tre separate aree scoperte durante l’esplorazione: Helluland, che significa “terra delle pietre piatte”; Markland, “la terra delle foreste” e Vinland “la terra del vino”, trovate da qualche parte a sud del Markland. Nel Vinland fu installato l’insediamento descritto nelle saghe. Markland è il nome forse dato alla costa del Labrador, in Canada dall’esploratore islandese Leifr Eiríksson che fu il primo europeo a raggiungere l’America settentrionale. Il nome Markland che in norreno significa sia “terra delle foreste” sia “terra di confine”, era al nord di Vinland e al sud di Helluland. Eiríksson portò alcuni alberi dal Markland in Groenlandia dato che non c’erano alberi a causa del clima molto freddo. Non sono stati mai trovati resti di insediamenti norsemen nel Markland e forse non si insediarono mai.
La più antica registrazione scritta sopravvissuta del Vinland è quella di Adamo di Brema (Adam Bremensis) (ante 1050– c. 1085), uno storico tedesco vissuto nella seconda metà dell’XI secolo. La sua opera più famosa è Gesta Hammaburgensis ecclesiæ pontificum. L’opera è in quattro volumi, la prima edizione risale al 1075–76 e narra la storia dell’arcidiocesi di Amburgo-Brema e delle isole del Nord. Nei primi tre volumi si racconta principalmente la storia dell’arcivescovado, mentre l’ultimo è più incentrato sulla geografia, la storia e i costumi della Scandinavia. Nel quarto libro delle sue Gesta, Descriptio InsularumAquilonis (Descrizione delle isole settentrionali), l’autore accenna al Vinland, la porzione di America settentrionale scoperta dai norsemen islandesi (identificata come Newfoundland, Canada), descrivendola come una grande isola scoperta “da molti” e ricca di viti. Per scrivere la Descriptio fece visita al re danese Svend Estridson che aveva conoscenza delle terre settentrionali e gli disse delle “isole” scoperte dai marinai norsemen, lontane nell’Atlantico delle quali il Vinland era la più remota. Adamo di Brema fu il primo a scrivere di questa scoperta, avvenuta pochi decenni prima della stesura del suo libro, che è ben attestata nelle saghe islandesi
La testimonianza di Adamo è della massima importanza non solo perché è la più antica testimonianza scritta delle scoperte dei norsemen in America, ma anche perché è totalmente indipendente dagli scritti islandesi e si fonda interamente su tradizione norrene che a quel tempo erano ancora recenti.
Gli islandesi non erano a conoscenza di quanto il Vinland si estendesse a sud e congetturavano che potesse essere lontano quanto l’Africa. I norsemen ritenevano che un grande istmo fosse esteso dalla Norvegia fino alla Groenlandia facendone una sola terra. Si credeva poi che la Groenlandia fosse estesa fino al Vinland che a sua volta si protraeva verso sud e proseguiva verso est, fin quasi a raggiungere l’Africa. La Historia Norwegiæ, compilata attorno al 1200 non si riferisce direttamente al Vinland e tenta di riconciliare le informazioni dalla Groenlandia con le fonti di origine continentale europea. In questo testo il territorio della Groenlandia si estende tanto che “quasi tocca le isole africane”. Le cronache islandesi registrano un altro tentativo di visitare il Vinland dalla Groenlandia, oltre un secolo dopo i viaggi narrati nella saga. Nel 1121, il vescovo islandese Erik Gnupsson, a cui abbiamo già accennato, si era stabilito in Groenlandia fin dal 1112 e “andò a vedere il Vinland”. Non è riportato altro su di lui e tre anni dopo un altro vescovo Arnald, fu inviato in Groenlandia.
Nessuna registrazione scritta, oltre a inscrizioni su pietre è sopravvissuta in Groenlandia cosicché il successivo riferimento a un viaggio proviene ancora dalle cronache islandesi. Nel 1347 una nave giunse in Islanda dopo aver perso la rotta dal Markland alla Groenlandia con un carico di legname. Questa testimonianza implicherebbe che i groenlandesi abbiano continuato a impiegare il Markland come riserva di legname per diversi secoli.
Colombo vide questi documenti? Forse. Tuttavia la sua concezione di terre ad ovest era ispirata da studiosi delle generazioni precedenti che li avevano visti. Esistono prove che tali informazioni fossero disponibili nell’Europa meridionale ai suoi tempi e si possono fornire alcune evidenze, per lo meno provvisorie, che Colombo potesse avere accesso ad esse.
Nelle sue reminiscenze del 1495 Colombo dice che nel febbraio 1477 navigò “per cento leghe più in là dell’Islanda”, essendo partito da Bristol, come si deduce dal contesto. È possibile che Colombo partecipasse ad un viaggio da Bristol all’Islanda. Nella sua affermazione non c’è nulla di inverosimile e la partecipazione ad un viaggio del genere fornirebbe anche la giustificazione per la visita a Galway in Irlanda, da lui menzionata in un’altra annotazione marginale. È possibile che durante quel viaggio nell’Atlantico settentrionale Colombo abbia sentito i racconti degli islandesi sulla Groenlandia e delle terre ancora più occidentali.
Allegato 1
UNITÀ DI APPRENDIMENTO
Denominazione
LA SCOPERTA PERDUTA
Prodotti
Il compito consiste nello scrivere e confezionare un ipertesto che conterrà le informazioni generali sulla Scoperta dell’America da parte dei Vichinghi intorno all’anno 1000 (500 anni prima di quella di Cristoforo Colombo). L’ipertesto conterrà, oltre alle indicazioni sulle rotte percorse dai norsemen nei loro spostamenti, anche indicazioni sulla storia della geografia e della cartografia in particolare.
Competenze chiave/competenze culturali
Evidenze osservabili
(descrittori delle competenze attese)
Comunicare nella madre lingua
Adotta il linguaggio specifico dei testi informativi e descrittivi.
Competenza in campo scientifico
Le conoscenze tecnico-scientifiche consentono di analizzare e comprendere i fenomeni naturali dei siti studiati
Competenza digitale
Utilizza le tecnologie informatiche per raccogliere altre informazioni sui siti visitati e per realizzare l’ipertesto.
Imparare ad imparare
Il patrimonio di conoscenze che possiede gli permette di implementare la conoscenza e di esprimere le sue curiosità artistico-storico-letterarie.
Competenze sociali e civiche
Ha consapevolezza dell’arricchimento culturale derivante dall’incontro di popoli diversi.
Senso di iniziativa e imprenditorialità
Conosce le rotte percorse dai norsemen per raggiungere varie località della Groenlandia e del Nord America.
Consapevolezza ed espressione culturale
Riconosce l’importanza dei vari siti per la costruzione dell’identità culturale, sociale e religiosa di um popolo.
Comunicare in lingua straniera
È in grado di veicolare anche in lingua straniera le conoscenze relative al territorio oggetto di studio.
Abilità
(in ogni riga gruppi di abilità conoscenze riferiti ad una singola competenza)
Conoscenze
(in ogni riga gruppi di conoscenze riferiti ad una singola competenza)
Sa produrre testi adatti allo scopo comunicativo.
Caratteristiche dei testi informativi e descrittivi.
Confronta, su uno stesso argomento, informazioni ricavabili da più fonti, selezionando quelle ritenute più significative.
Conoscenza della strategia di organizzazione e selezione delle fonti.
Applica le procedure di ideazione, pianificazione e realizzazione di un lavoro.
Conoscenza degli strumenti utili all’organizzazione delle idee (mappe, schemi, appunti, ricerche, etc).
Sa apprezzare nel territorio gli aspetti più caratteristici del patrimonio ambientale e i principali monumenti storico-artistici.
Usa con consapevolezza le tecnologie della comunicazione per ricercare e trasmettere dati ed informazioni relativi all’argomento trattato.
Conoscenza dei principali siti storici, religiosi, naturalistici e artistici.
Conoscenza delle procedure di realizzazione di testi, ipertesti e presentazioni.
Dimostra originalità e spirito di iniziativa, chiede aiuto quando si trova in difficoltà e sa fornire aiuto a chi lo chiede.
Conoscenza dei concetti di responsabilità, rispetto e condivisione.
Utenti destinatari
Classi I e II E.
Prerequisiti
(solo per insegnamenti complessi che richiedono conoscenze pregresse)
Sapersi orientare nello spazio e nel tempo.
Utilizzare mezzi diversi di rappresentazione grafica e simbolica.
Saper effettuare ricerche interdisciplinari, raccogliendo e selezionando dati e informazioni.
Saper utilizzare le tecnologie della comunicazione.
Saper problematizzare le informazioni e costruire ipotesi.
Conosce norme della vita associata.
Tempi
Da novembre a maggio.
Attività
Ricerca, organizzazione ed elaborazione dei materiali.
Metodi/tecniche
Lezione frontale
Cooperative learning
Didattica laboratoriale
Risorse umane
· interne
· esterne
Docenti del consiglio di classe
Strumenti
Carte geografiche, carte tematiche, tecnologie dell’informazione e comunicazione (TIC)
Valutazione
Osservazione dei prodotti finali.
Griglie di osservazione dei processi di lavoro.
Verifiche di tipo oggettivo per l’accertamento delle conoscenze.